I racconti del caseificio: i pastori

Quando abbiamo iniziato a cercare il latte per il caseificio, i miei contatti erano prevalentemente con pastori importanti, proprietari di greggi numerosi. Io mi spiegavo con loro credendo di poter usare la mia solita lingua, chiedevo, interpretavo i silenzi e le risposte secche come disinteresse e supponenza. Fino alla rottura finale, che per me è avvenuta dopo almeno un mese da che loro ritenevano chiusi i rapporti.

Non ci eravamo capiti, io allora colsi l’occasione per ritenere il mondo dei pastori come inavvicinabile, “straniero”.

Poi ho guardato e ascoltato con maggiore attenzione. La loro natura non era il mio giardino.

Ho visto la foto di Maria su whatsapp. Monta un cavallo e si distende sul suo collo, si abbandona con aria felice, dimentica. So che suo marito ha qualche mancanza, lei lo accudisce, dosa bene il latte che deve dare a nome proprio, o a quello del marito, per essere in pari, rendere i debiti delle caparre, ma avere anche i soldi necessari a pagare il mangime, le analisi. Anche per vivere, perché no.

Maddalena che mi chiama e mi spiega che non riuscirà a rendere la caparra come previsto perché le pecore non danno latte. Sono andate a bere al fiume che era inquinato, qualcuno ci ha scaricato qualcosa che non doveva, e ora le pecore stanno male, di latte non se ne parla, chissà se non dovrà abbatterle. Di straforo ho saputo che suo fratello spesso non è in sé, deve accudirlo.

Luigi altezzoso e un po’ incomprensibile. I suoi animali, pecore e capre, in parte sono stati mangiati dai lupi. Non ne ha la prova, non ha le telecamere per dimostrare alla Regione che erano davvero lupi e non cani inselvatichiti. Come se cambiasse qualcosa. Continua a lamentarsi che per disfarsi delle bestie morte dovrà pagare, che non avrà alcun rimborso, e che gli animali rimasti non danno latte, hanno avuto troppa paura, però deve continuare a nutrirli.

Non sempre è così, ma alcune sono storie molto difficili. Io ascolto.

E Isidoro. A lui e la sorella abbiamo fatto un prestito, un bel prestito per accrescere il gregge. A Natale mi hanno mandato la foto delle pecore al riparo, come fossero le loro bambine. Ma ognuno di loro ha la sua famiglia, coniuge, figli, anziani genitori. Hanno due allevamenti e dividono il latte a seconda dei debiti, fanno come Maria e suo marito: un po’ qua, un po’ là, e si va avanti. A volte mi sono chiesta se queste divisioni cartacee, di allevamenti diversi, ma che sono nel solito luogo, di famiglie divise che abitano le stesse case, non lascino tracce. Intendo: sentiranno solo sulla pelle, o anche nel cuore, cosa sarebbe essere soli?

E poi Piero, e Pietro, con le loro facce severe su whatsapp, ma quando mi chiamano sono sempre molto gentili, riguardosi.

Mi appassiono al loro mondo, così difficile, fatto di doveri impellenti, Una vita spesso non al riparo da siccità, aumenti del grano, malattie degli animali. Pecore e capre che crederesti forti, pronte a balzare di sasso in sasso o almeno di prato in prato, e poi scopri che si deprimono, si spaventano e, proprio come noi, a volte restano immobili senza capacità di creare e produrre. Che ne sarà delle pecore e dei suoi pastori, qualcuno ci manterrà in vita se non saremo di utilità immediata? Qualcuno crederà che possiamo farcela? Avremo fede?

Per fortuna è salito Alessandro, il casaro. Mi sento rinfrancata dal suo odore di latte e pulito. Qualcuno deve averci accudito, mi dico, se siamo qua. Abbi fede, e continua.

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