I racconti del caseificio: il latte

Quando entro nel caseificio inspiro a pieni polmoni. 

Odore di latte.

Mio padre, quando ero piccola, mi portava ai caseifici del Padano, e ricordo vagamente antri bui, illuminati da grandi tinozze bianche, piene di latte. E poi i magazzini con le scalere alte, dove il formaggio stagionava. Cattedrali buie anche esse, signora la fatica.

Mio padre mi raccontava che un casaro guadagnava bene, anzi benissimo, ma non aveva mai ferie, non aveva orari, non poteva ammalarsi, perché il formaggio si fa quando c’è il latte e le vacche, a meno di qualche disgrazia, il latte lo fanno quasi sempre. Questo casaro così ricco di soldi, insostituibile e povero di vita, me lo immaginavo silenzioso e grosso, sempre a capo chino, guai a chiedergli attenzione, un po’ di tempo, era ben stabilito che non ne avesse.

Di allora non ricordo l’odore del latte, piuttosto la sensazione di timore che gli antri bui mi ispiravano, ma ben più grande era il timore dei contadini che faticavano, e che non si dovevano né potevano troppo disturbare dietro a me, una piccola bambina portata dal suo babbo a curiosare. Erano tutti un po’ casari.

Quando entro nel mio caseificio invece l’odore del latte mi avvolge. È un odore che non sa di stantio, non per far propaganda, ma i nostri casari puliscono bene e non c’è passaggio da odore a sapore.

E poi li vedo: quando la cagliata esce dal tubo per essere messa negli stampi, loro mettono la mano, dinanzi all’imboccatura, per frangere il fiotto. Quella mano guantata di verde è sempre abbinata a un sorriso, o a un’espressione concentrata e soddisfatta, perché c’è contatto con cose vive. E durante il Covid, con le mascherine, ecco, era proprio una gran tristezza.

Poi mettono la cagliata nelle fuscelle, pressano e… voilà! Con un movimento acrobatico che sembra facile, ma tale non è, passano la cagliata da fuscella a fuscella, perché grondi il siero. Quel movimento da circo si abbina alla loro tenuta, che è da “chirurghi al contrario”. Camice bianco e guanti verdi, non aprono e dissezionano, loro creano, costruiscono meravigliosi formaggi. 

Mi sono affezionata ai miei acrobati, sono diventati i miei artisti preferiti. Pago per vederli, eh, ben di più che in un qualsiasi circo. Certo non quanto immaginavo prendessero i mitici casari di cui contava mio padre, ma loro, mi dico, erano parecchio più tristi.

A questi uomini e donne che quasi non mi conoscono io ho consegnato la mia vita, loro non lo sanno, e non mi debbono alcuna gratitudine, sono io che la devo a loro.

Ecco, sono qua, di sera, seduta dinanzi a mio marito nella mia piccola e comoda cucina. Il sapore si diffonde in bocca, prepotente ma non aggressivo, appagante come poco altro.

Accudimento, gioia, trasformazione, fatica, formaggio pecorino.

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